Conflitto: cos'è e cosa non è
Conflitto e violenza rappresentano due polarità. Come sostiene Daniele Novara nel suo lavoro educativo sul conflitto, il primo attiene all’area della relazione, dello scambio e della comunicazione - seppure improntata alla divergenza e all’opposizione - ed è orientato a costruire, la seconda attiene all’area della negazione della relazione, ed è ovviamente orientata a distruggere.
L’atto violento comporta il danneggiamento intenzionale dell’avversario (o di chi viene investito di tale ruolo), con ripercussioni negative e durature - fisiche o psicologiche - su quest’ultimo. Implica l’identificazione del conflitto con la persona che lo porta e la volontà di risolvere il problema eliminando la persona stessa. Comporta infine la chiusura della relazione come scorciatoia e risoluzione unilaterale del disaccordo.
Ben diverso è il conflitto, chiarisce Novara, che comporta per sua natura elementi di contrasto, resistenza critica e anche scontro, ma che costituisce un’espressione della relazione stessa e si situa nell’ambito della competenza relazionale. Il conflitto comporta la volontà di affrontare il problema preservando la relazione e implica l’intenzione di ricercare risposte sostenibili in vista di uno sviluppo del rapporto, per quanto difficile e faticoso possa essere. La fatica è elemento connaturato nel conflitto, comporta la volontà costruttiva di gestire i problemi non certo rimuovendo gli elementi critici del rapporto, ma assumendoli invece come catalizzatori di cambiamento e rinnovamento.
Conflitto. Antidoto alla violenza, palestra di relazione
Conflitto quindi, come luogo d’incontro, di apprendimento, di espressione di sé e maturazione, capace di favorire un processo d’individuazione e l’evoluzione nella conoscenza di se stessi. Conflitto come esperienza generativa, capace, nelle parole di Novara, di apportare un’autoregolazione nei rapporti duali e nei gruppi, lo sviluppo di competenze antinarcisistiche, lo svelamento di realtà fino a quel momento nascoste. Conflitto, come termine non associabile alla violenza, ma alla relazione (dal latino, legare insieme), un essere insieme che può essere faticoso, disseminato di imperfezioni, connotato da divergenze di vedute e opposizioni di vario genere, ma pur sempre un essere in relazione, palestra di vita per eccellenza.
Paradossalmente, riconoscere il conflitto, accoglierlo e attraversarlo protegge la relazione, rimuovere il conflitto e bypassarlo rischia di bruciarla. L’evitamento del conflitto porta ad uno stato di stagnazione e di acutizzazione sotterranea dei problemi, che sfocia con facilità nella violenza. Il riconoscimento e la legittimazione del conflitto e quindi il ricorso sistematico a un confronto costruttivo è invece funzionale all’evitamento della violenza.
Dialogo e assertività
Attraverso il dialogo, il confronto, la capacità di affermare la propria posizione, i propri bisogni, il proprio punto di vista, è possibile evitare di creare un eccesso di ‘pressione in pentola’. Prendere l’abitudine di esprimere le proprie idee e i propri vissuti consente una manutenzione, una pulizia della relazione dalle scorie che diversamente si sedimenterebbero – appesantendola - e a lungo andare la comprometterebbero. La comunicazione consente di evitare di saltare - per avere ignorato i propri bisogni e avere sopportato a lungo una situazione vissuta come troppo stretta - dal polo della passività a quello dell’aggressività e dell’attacco.
Passività è per esempio sopportare per amore della pace, sacrificarsi in nome dei bisogni dell’altro, non discutere evitando così la fatica di attivare le risorse emotive e cognitive necessarie a un confronto maturo; aggressività è per esempio adottare comportamenti distruttivi o auto-distruttivi, prevaricare, vendicarsi, fossilizzarsi in un atteggiamento di critica e di lamentela).
Provando ad assumere una posizione di rispetto di sé e dell’altro, posizione che si situa a metà (e a un livello superiore) tra il polo della passività e quello dell’aggressività, è possibile allenarsi a un comportamento assertivo. Esprimendo in modo fermo e limpido le proprie opinioni, comunicando con sincerità i propri sentimenti, senza offendere né aggredire l’interlocutore, è possibile crescere nell’assertività. Difendendo i propri diritti e contemporaneamente considerando le ragioni e i diritti della controparte (e quindi accogliendo il confine e il limite che l’altro porta nella relazione), facendole richieste chiare e recepibili (e quindi contestualizzate), è possibile crescere nell’assertività.
Certo, l’assertività non è che una componente della competenza relazionale e non è che uno dei tanti fattori che consentono di stare nel conflitto in modo attivo e costruttivo. Ma rappresenta pur sempre lo sviluppo e la manifestazione concreta di una delle tante potenzialità di rinnovamento e crescita (di sé e della relazione) connaturate nel conflitto stesso e resta una competenza imprescindibile per relazioni più soddisfacenti.