Una definizione di "yoga"
Il cammino dello yoga è un processo di espressione del nostro potenziale. Risvegliare le nostre parti latenti o atrofizzate ci dota di nuove energie e ci rende più felici. La felicità non è qualcosa che ci viene dato, è un dovere quotidiano.
La Chandogya Upanishad definisce lo yoga come un processo che consiste nell’andare dove non si era ancora andati, nel realizzare qualcosa di nuovo: “Yoga è raggiungere nuove mete”.
In questo senso, yoga è superare i limiti di oggi, sperimentarci in ciò che oggi non sappiamo fare o crediamo di non saper fare. È andare oltre le nostre convinzioni limitanti o le nostre paure. È tendere verso il meglio, aspirare a ciò che ci fa evolvere e ci fa stare bene. Con un impegno rilassato, senza creare forzature, ma senza nemmeno metterci troppo comodi.
A volte, abbiamo tutto ciò che ci serve per fare un passo in più e non c’è niente che c’impedisca di farlo, se non le nostre convinzioni limitanti.
L’espressione dei nostri potenziali richiede per definizione che ci assumiamo la responsabilità d’individuare e di fare i passi necessari a perseguire la meta che ci siamo prefissi. E che ci sia una certa fiducia di riuscire. Da parte nostra, o perlomeno, inizialmente, da parte di qualcun altro. Non è un aiuto da poco avere vicino qualcuno che crede in noi, qualcuno in grado di cogliere le nostre risorse e di rimandarcele, qualcuno che ci sproni e ci incoraggi, uno “sponsor” delle nostre possibilità.
Ero già allieva di T.K.V. Desikachar da qualche anno e nell’estate del ‘91 ero in India per studio. Un giorno il mio maestro mi disse: “ Ti vorrei come traduttrice nelle prossime conferenze e nei prossimi seminari che terrò in Italia”.
“Non credo che questo sarà possibile” gli risposi, ed esagerando e sminuendomi per cercare di cavarmi da quello che a botta calda mi sembrò un bel guaio, continuai dicendo “conosco solo 100 parole d’inglese”.
“Bene – disse lui – userò solo quelle 100 parole”. Non potei replicare.
Fu così che divenni la sua traduttrice ufficiale in Italia.
Tradurre il mio maestro non fu difficile e la fiducia che Desikachar mi dimostrò in quella circostanza, come in innumerevoli altre occasioni, mi facilitò enormemente.
Altre volte però, raggiungere nuove mete richiede un impegno prolungato e non poca fatica.
Cosa può servire per raggiungere nuove mete
Realizzare nuovi obiettivi e risvegliare i potenziali inespressi presuppone che le nostre aspirazioni siano chiare e che i moventi siano individuati.
Più riusciamo a delineare motivazioni che rendano il nostro obiettivo degno di essere perseguito, più abbiamo carburante per muoverci in quella direzione. Tutti i moventi rappresentano una qualche forma di carburante e se sommiamo le nostre motivazioni, se le consapevolizziamo e se ci ancoriamo alle nostre motivazioni, riceviamo molto carburante in più.
Occorre anche che valutiamo l’accessibilità della meta, progettando il percorso, definendone fasi e tempi e individuando e depotenziando ciò che è di ostacolo. Come dice il detto zen: “Nel guardare verso l’orizzonte, non inciampare nei tuoi stessi passi”. Serve guardare dove mettiamo i piedi, muovendoci in un processo fatto di scelte e strumenti concreti. Valorizzando ogni passo, perché ogni passo in più segna il raggiungimento di una piccola meta e perché la crescita ha luogo nel processo molto più che nel raggiungimento della meta.
Ma serve anche rivolgere l’attenzione verso il risultato. Il che significa rifocalizzare il valore dell’obiettivo, caricando di energia psichica la nostra scelta, riaffermandola, visualizzandola, ma anche, per esempio, ripetendola a voce alta, scrivendola, per tenerci energeticamente allineati con il nostro obiettivo.
Visione e azione devono potersi avvicendare, come il piede destro e il piede sinistro si alternano nei passi che ci separano dalla meta che ci siamo prefissi.
E può aiutare ricordare un detto indiano: “Qualunque fiume, anche il più vasto e possente, inizia da un piccolo rigagnolo.”