T.K.V. Desikachar. Lettera a te

A T.K.V. Desikachar
(Mysore 21 giugno 1938 – Chennai 8 agosto 2016)

Chennai, agosto 2016

Io decollavo e tu eri già nell'etere con me. Avrei voluto prenderti dolcemente le mani prima che te ne andassi. Il mio aereo è arrivato troppo tardi. Ti ricordo com'eri, forse, è meglio così.

Il tuo sguardo benevolo resterà su di me, come un mantello di protezione e di buon auspicio, soffice e resistente, che porto e vorrò portare per sempre.
Un caleidoscopio di ricordi abita il mio corpo e resta impigliato nei sensi. Ricordi, presenza. Il calore e la forza dei tuoi occhi e i fogli bianchi che riempivi con la tua scrittura ampia e schietta per fissare riflessioni feconde sullo yoga e sulla vita. Gli eleganti caratteri sanscriti da cui traevi la saggezza dello yoga e i tuoi insegnamenti vibranti di vita, insieme al ronzio delle ventole a soffitto e al caldo che spremeva il sudore dalla pelle. La magnificenza dei fiori d'ibisco nelle aiuole di casa tua, i manghi maturi che mi hai sbucciato e tagliato a pezzetti discorrendo della vita, sotto il cielo azzurrissimo di un mattino di primavera, il suono dei mantra che abbiamo cantato nel silenzio della campagna sotto l'albero sacro.
Grazie.

Rimani. Rimangono i mesi di studio, che tutti insieme formano anni, mescolati al monsone che non finiva mai, al profumo del “south indian coffee” che mi offrivi dopo averlo raffreddato travasandolo da un bicchiere all'altro, allo smog che ingrigiva i vestiti e ai clacson dei rikscò. Rimane il gusto dolce e frizzante del latte di cocco fresco che compravo, finiti i nostri incontri, da una nerboruta venditrice accoccolata sotto un albero secolare davanti alla bottega del sarto. Rimangono i colori sgargianti dei sari sotto il sole impietoso, le onde torbide e potenti dell'oceano Pacifico, i pomeriggi sospesi e assonnati dei mesi più caldi, il ricordo della tua bella moglie, solare e innocente, con i fiori di gelsomino nei capelli, che mi ha iniziata al canto vedico. Ogni volta che andavo a lezione da lei mi sentivo leggera come nelle mie vacanze migliori.

Restano le lezioni sugli Yoga Sutra e sulla Bhagavad Gita al Krishnamacharya Yoga Mandiram, ogni sabato mattino, sotto l'ampio tetto di foglie di banane: incontri aperti a tutti, esperti, neofiti, insegnanti, studenti e zanzare. E ancora di più il Sannidhi nel cortile della tua casa, tempio della memoria, della gratitudine e del ritorno alle radici: con la sua pace, i suoi colorati appuntamenti mensili, la presenza dei “paduka” del tuo maestro e padre, a suggello di momenti importanti celebrati o vissuti nel segno dell'ispirazione e del buon augurio.

Rimane il vasto insegnamento dello yoga che hai voluto condividere negli anni. Qualcosa che da te ho imparato a trasmettere nell'ascolto di ciascuno, con attenzione e cura, insieme ai tanti tuoi allievi che hanno contribuito a portare in occidente il vento dell'insegnamento di tuo padre: un insegnamento che tu per primo hai saputo rendere accessibile e fruibile a milioni di persone al di fuori dei confini dall'India.

Ma soprattutto rimane e rimarrà nelle mie cellule la fiducia che mi hai trasmesso, credendo in me e incitandomi ad andare avanti. Rimarranno l'ascolto attento che mi hai dedicato e l'umanità e la vicinanza con le quali hai saputo colmare i miei vuoti. Rimarranno l'affetto e il rispetto che hanno intriso le nostre lezioni. Rimarrà il nutrimento perenne di un incontro umano che non ha avuto fine - se non nel mondo là fuori - e per il quale ti sono grata.

Rimani. Non te ne sei mai andato.
Grazie.